L’impresa familiare riveste un ruolo fondamentale e di primo piano per l’economia generale del nostro paese.
Quando l’impresa di famiglia è una PMI bisogna fare attenzione ai contraccolpi del processo di “successione”: banche, clienti, fornitori e dipendenti non sanno cosa succederà nel breve periodo; vogliono certezze per il futuro e garanzie che l’azienda sia condotta bene.
Non sempre la successione si chiude con successo e le cause vanno ricercate nella gestione non ottimale delle informazioni e delle comunicazioni, nel mancato rispetto dei ruoli di amministratore, azionista e manager, nella scarsa regolamentazione dell’ingresso e del trattamento dei familiari in azienda, oltre che nelle differenze di vedute tra imprenditore e suoi successori.
L’assenza di un’attenta pianificazione rende il momento della successione potenzialmente carico di tensioni, poiché l’impresa potrebbe essere impreparata.
Non è detto che compiuto il passaggio generazionale l’impresa riesca a sopravvivere. Come evidenzia uno studio del Centro di Ricerca sulle Imprese di Famiglia (Cerif) condotto su un campione di PMI con fatturato compreso tra 15 e 150 milioni che hanno affrontato il passaggio generazionale, sui 34 cambi generazionali analizzati il 71% ha avuto successo, il 12% esito negativo e il 17% è ancora in atto.
Nella maggior parte dei casi l’imprenditore investe gran parte delle proprie energie e capacità nello sviluppo del business e molto meno nella lettura dei segnali di spinta generazionale che emergono, durante il processo naturale di crescita e sviluppo aziendale, da sotto la pelle del tessuto organizzativo e di quello familiare.
Il titolare talvolta fatica a pensare che esista una prospettiva diversa dalla sua.
L’antagonismo generazionale, genitore – figlio, tra lo status esistente e quello nascente, può trasformarsi in una forma di patologia organizzativa che deprime l’efficacia dell’azione e della vitalità d’impresa.
La terapia preventiva è data dal riconoscimento reciproco di due status organizzativi: il mentore leader e lo stato nascente.
Numerose ricerche hanno dimostrato che la spinta provocata dai giovani eredi per entrare nella gestione aziendale costituisce una tra le principali cause dell’elevato indice di mortalità d’impresa.
L’imprenditore fatica ancora ad ascoltare e riconoscere all’erede un’autentica dignità organizzativa. La difesa inconscia della “sua” azienda lo induce a viverla come un’estensione di sé stesso e lo porta a proteggere il passato.
Il passaggio generazionale va dunque affrontato come un processo di rinnovamento di comportamento organizzativo, culturale, strutturale – organizzativo e di business.
Il tema della trasmissibilità dell’impresa va anticipato e non subito.
Viene il momento in cui l’interesse primario dell’impresa esige che genitore e figli co-creino una visione condivisa del futuro che essi stessi vogliono realizzare.
Dunque ridefinire la trasmissibilità d’impresa non più come un passaggio tra generazioni, che sottende l’interruzione di un’azione per proseguire sotto un’altra mano, ma come continuità generazionale.
Non più qualcosa che segni una differenza tra prima e dopo, ma il potenziamento di una stessa cosa che avviene solo in un processo di continuità gestionale attraverso la rigenerazione di stili manageriali.
La continuità esige il mantenimento delle competenze e delle esperienze del titolare come patrimonio del valore fondante dell’impresa. Un valore che non può essere disperso in quanto tessuto con la storia dell’impresa stessa e con la capacità di sentire, intuire e interpretare i segnali del cambiamento dei tempi.
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Fonte: Il Sole24Ore