«È ora di rendersi conto che non c’è solo Stellantis, importantissima per carità, ma il settore dell’automotive in questo territorio è un’eccellenza che lavora per molti gruppi e che rischia di sparire».
Non usa mezzi termini Francesco Borgomeo, Presidente di Unindustria Cassino, nell'intervista di oggi su "Il Messaggero" dopo che le organizzazioni sindacali hanno sollevato l’ennesimo problema, con cinque aziende pronte a mandare a casa circa 200 dipendenti.
«Sono anni - dice Borgomeo - che stiamo cercando di segnalare la preoccupazione determinata dalle politiche dell’Unione europea che ha deciso, con una scelta ideologica, una data entro la quale i motori endotermici non dovevano più essere installati». Il “famoso” 2035, per intenderci. «Forse bastava dire che da allora dovevano essere tutti Euro6, questo avrebbe sicuramente fatto registrare un miglioramento in termini di emissioni e al tempo stesso avrebbe mantenuto in vita una filiera, permettendo nel frattempo di riconvertirsi su altre tecnologie».
Una decisione che si sta pagando a caro prezzo: «Non dobbiamo girarci attorno, la ricaduta sulla filiera è drammatica. Vedo realtà in crisi, organizzazioni sindacali che chiedono di intervenire e hanno ragione perché bisogna essere realisti e dire che al momento non ci sono soluzioni». Una via d’uscita, quella sì, per la quale Unindustria chiede due cose:
«In primo luogo si deve intervenire in materia di cassa integrazione, per garantire un sostegno ai lavoratori. Poi occorre far sì che si crei una sorta di zona economica speciale, ma non territoriale bensì riferita alla filiera dell’automotive perché i dati parlano chiaro».
I NUMERI
È lo stesso Borgomeo ad aggiungere: «Un Paese che quest’anno farà 300.000 vetture rispetto ai 2 milioni prodotte in passato non ha capienza per la filiera. Per questo occorre favorire la riconversione industriale su altri settori perché non avremo più quei numeri. Solo che per fare questo occorre tempo. Per fortuna noi abbiamo possibilità e capacità di farlo, ma dobbiamo essere messi in grado dopo che il mercato ha già deciso».
E cioè?
«I consumatori sono spaventati, le norme sono rigide e allora cosa fanno? Allungano la vita delle loro auto, la gente non compra l’elettrico perché costa ancora tanto e non si fida, di conseguenza tu non vendi e non produci. Il risultato? Le scelte politiche sbagliate oggi le pagano piccole e medie imprese, filiera e lavoratori». Alle organizzazioni dei quali il presidente fa un appello: «Evitiamo la guerra tra poveri, lo dico ai sindacati, facciamo squadra. In questo momento l’imprenditore che rischia di chiudere non lo fa perché delocalizza, ma perché hanno deciso che il suo mercato non deve esserci più. A questo si unisce l’indotto, basta pensare ai servizi di guardiania o di pulizia».
Unindustria si è mossa in tempi non sospetti attraverso un “cluster” delle imprese associate, uno studio sulle prospettive, l’obiettivo di «fare un’operazione di tutela del settore, essendo concreti e realisti». Se quel mercato «non ci sarà più perché qualcuno ha deciso che non ci sarebbe stato, noi abbiamo ancora la capacità di inventare e fare, ma oggi le aziende sono in difficoltà e chiedono di essere aiutate a riconvertirsi, finanziamenti per riposizionarsi senza fare drammi o tragedie altrimenti la crisi travolge tutti. Lo diciamo da due anni a politica e istituzioni, vanno bene i tavoli per Stellantis ma la filiera dell’automotive è altro».
Cosa chiedete?
«Un centro di ricerca da finanziare, sul quale siamo pronti a collaborare, l’esperienza nell’automotive consente la diversificazione nell’aerospazio, nell’industria della difesa, nell’edilizia, ma dobbiamo riconvertire». Il tutto con l’ulteriore coinvolgimento dell’università «che già abbiamo e grazie al quale è arrivata qui la produzione delle batterie con Fincantieri».
Il quadro, del resto, è chiaro: «C’è la contrazione del mercato, la riduzione del lavoro e se non c'è un’alternativa l’unica strada è la chiusura».
L'intervista, a cura di Giovanni Del Giaccio per Il Messaggero, è disponibile in allegato.
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