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Interviste ed Editoriali - 08/10/2020

“Viterbo è pronta per un cambiamento importante, ma ci vogliono idee, coraggio e le persone giuste”

Intervista a Tusciaweb di Sergio Saggini, Presidente Unindustria Viterbo: "L'obiettivo di un'impresa è creare occupazione e sviluppo per tutto il territorio"

La città di Viterbo può cambiare, migliorare, diventare un’altra cosa e mettersi al passo con la globalizzazione. Prendendo anche esempio da altre realtà della Tuscia. Ma per farlo, per il neo presidente di Unindustria Viterbo, Sergio Saggini, “ci vogliono idee, coraggio e le persone giuste”.

Saggini ha 43 anni e due figlie. “Cerchiamo di finire l’intervista prima che chiudano le scuole – ha detto subito il presidente degli industriali viterbesi -, perché devo andare a prendere mia figlia. Una laurea in ingegneria delle telecomunicazioni al politecnico di Torino e un master alla Guido Carli di Roma. Prima di arrivare all’edilizia, la sua è una delle più importanti aziende edili del territorio, si occupava del puntamento dei missili per una multinazionale statunitense.

Saggini crede innanzitutto a una cosa, su tutte. “La responsabilità sociale delle aziende”. Come Adriano Olivetti. Imprenditore e ingegnere pure lui. “L’obiettivo di un’impresa – ha ribadito più volte Sergio Saggini – è creare occupazione e sviluppo per tutto il territorio. L’azienda, una volta messa al mondo, appartiene a tutti, e non più soltanto a un singolo”.

Presidente Saggini, cos’è per lei un’impresa?
“Un’impresa, secondo me, è un organismo a sé, indipendente e con una forte responsabilità sociale. In tal caso l’azienda non è più tua, ma è della società. Tu sei quello che l’ha creata, ma non è più tua. Se la consideri così, l’azienda ha bisogno di fondi nuovi. Fondi nuovi significa mettere il capitale e reinvestire quello che guadagni. Questa è la politica di un imprenditore lungimirante che si prende dall’azienda quello che gli serve per vivere dignitosamente. Ma il grosso lo devi tenere in azienda altrimenti non cresci mai. IL capitale che investi fa da leva finanziaria”.

E in tutto questo, le banche che ruolo hanno?
“Purtroppo, nel periodo pre crisi, quello che va dal 2003 al 2008, siamo stati abituati, soprattutto in edilizia, a finanziamenti a pioggia molto corposi, parliamo del 100% a fondo perduto. Potevi chiedere anche due milioni di euro e la banca ti finanziava. Anche se non avevi le basi. E magari l’investimento andava male. Un’impresa deve invece fare un investimento proporzionato alla propria azienda”.

Vale anche per le start up?
“No, in tal caso, il discorso è diverso. La start up ha un principio che è diverso. Non è solo una nuova azienda, ma un’azienda con un potenziale innovativo. Ed è sul potenziale che si va ad investire. Un’idea rivoluzionaria, un’innovazione importante destinata a fare il botto. Diverso è invece quando fai un’operazione speculativa”.

Tornando alla situazione pre crisi 2008, le banche non chiedevano garanzie reali alle imprese che volevano fare un investimento?
“Chiedevano firme personale, ma se non hai niente, non ha niente. Cose che succedevano”.

E con la crisi, parliamo di quella precedente al Covid, cosa è successo?
“La crisi ha fatto da spartiacque tra chi aveva fatto un investimento vero, supportato da garanzie e lungimiranza, e chi no. Quindi, chi aveva i soldi in cassa si è sostenuto e ha superato la crisi, chi non ce li aveva ha fallito. Non sono le banche ad essere ‘cattivo’, sono gli investimenti ad essere sbagliati. L’impresa che investe e si patrimonializza ha un futuro”.

Quanto pesano sull’investimento di un’azienda il degrado, l’incuria e l’abbandono a sé stessa di una città come Viterbo?
“Indipendentemente dalle responsabilità amministrative, argomento che non voglio affrontare, degrado, incuria e abbandono di una città pesano tantissimo. E il loro peso lo vediamo analizzando quelli che sono i settori prevalenti. A Viterbo il settore prevalente è quello del turismo. Una città, e il suo centro storico, vanno promossi e valorizzati. Se un turista arriva e vede il degrado, cosa ammessa anche dal sindaco Giovanni Arena, il riflesso sulla città non è certo dei migliori. Sono convinto però che le istituzioni siano perfettamente coscienti che ci sia da lavorare tanto. Il problema è trovare i fondi necessari, e a volte le amministrazioni comunali non ce li hanno o ce li hanno pochi”.

Il degrado fa danno solo al turismo?
“Il degrado fa danno a tutte le imprese, perché gli investitori analizzano mercato e territorio dove poi vanno ad investire. E se un territorio non cresce, nessuno ci viene a vivere perché è degradato e perché non c’è lavoro, tutte queste cose messe insieme diventano una pietra rotolante che travolge tutto. Se la città invece funziona, la città allora cresce, si sviluppa e genera investimenti e nuove risorse. Basta pensare all’esperienza di altre città italiane. Ad esempio Milano che ha investito in quartieri degradati con progetti fenomenali chiamando grandi architetti di fama internazionale. Adesso questi quartieri sono realtà belle e importanti. Oppure il porto di Genova o il quartiere San Salvario a Torino. Pezzi di tessuto urbano completamente ribaltati. Non è vero che il centro storico di Viterbo è destinato allo schifo. Il suo destino può essere sicuramente diverso”.

In che modo?
“Ci vogliono idee e soldi. E i soldi vanno trovati”.

Come?
“Prima cosa, studiando e partecipando il più possibile a tutti i bandi regionali, nazionali ed europei a disposizione. Seconda cosa, in tutti i comuni dovrebbe esserci un ufficio apposito che appunto studia i bandi. Oppure un ente terzo. L’importante è affrontare tutti i bandi senza perderne nemmeno uno. Infine, la terza cosa che va fatta e lavorare molto sulle partnership pubblico-private. Non ci sono altre soluzioni. Bisogna comunque mettersi seduti e, in partnership, capire cosa può far svoltare definitivamente la nostra città”.

E per il centro storico di Viterbo cosa andrebbe fatto?
“La questione del centro storico è fondamentale. Primo, gli uffici pubblici devono stare dentro le mura. Il centro storico è scomodo per tutti, ma è una realtà che deve essere assolutamente valorizzato. Se io devo fare una carta d’identità, la devo poter fare in centro. Ad oggi, invece, che cosa ci vado a fare nel centro storico oltre ad ammirarne la bellezza delle architetture? Gli uffici, il grosso, stanno in periferia, mentre i negozi si trovano nei centri commerciali”.

Servirebbe anche un po’ più di decoro urbano…
“Certo. Tuttavia, il patrimonio architettonico si degrada sotto diversi punti di vista. In una città ci sono edifici storici e, chiamiamoli così, edifici vecchi, vale a dire case e palazzi costruiti a partire dal secondo dopoguerra che cominciano ad avere la loro età e hanno bisogno di nuovi tagliandi. Se all’Ellera c’è un’edilizia degli anni ’50, ma le persone che stanno in un palazzo non hanno la forza economica e interesse, come fanno a trovare le risorse da investire. Bisogna quindi inventarsi nuovi strumenti”.

Quali strumenti servirebbero?
“Il governo ha tirato fuori una misura che personalmente appresso tantissimo, ed è quella del 110% con cui lo stato dice al cittadino: ‘pago io, ma tu devi riqualificare’. E lo devi fare. Il 110 è un’intuizione eccellente, perché permette di riqualificare. E sarà un volano enorme per l’edilizia, l’occupazione e la riqualificazione del centro storico. Non possiamo però pensare che il degrado del centro storico è colpa del comune. E’ colpa del comune l’erba alta, la strada, ma non è colpa del comune se le facciate vengono giù. Quello è un bene privato”.

Se guardiamo alla Tuscia notiamo un territorio che procede a velocità diverse. C’è il polo della ceramica a Civita Castellana che, sebbene in crisi, ha trovato importanti sbocchi di mercato con le esportazioni e continua a fare buoni fatturati. C’è poi Bagnoregio con Civita che con il turismo da anni vola alto. Lungo la costa e non solo stiamo invece assistendo ad una vera e propria ristrutturazione dei rapporti di produzione delle zone rurali. Infine Viterbo che dal punto di vista economico è diventata un po’ la cenerentola della Tuscia con livelli di disoccupazione di gran lunga superiori a quelli nazionali. Non crede che questa situazione, sul lungo periodo, possa provocare una vera e propria frammentazione economica del territorio al punto da determinarne anche una politica e istituzionale con pezzi di provincia che se ne vanno chiedendo di essere accorpati ad altre regioni?
“Non credo, penso di no. Le singole eccellenze, invece, se affrontate con lungimiranza da parte delle istituzioni e degli imprenditori, dovrebbero essere viste come realtà da studiare e imitare, replicandole in sinergia col territorio. Se c’è un’eccellenza devo copiarla, cercando di fare di più”.

Se le diverse realtà territoriali, invece di imitarsi, entrano in competizione, cosa potrebbe succedere?
“Quello che dice lei. La frammentazione economica del territorio e pezzi dello stesso che decideranno poi di andarsene”.

E non c’è questo rischio?
“Allo stato attuale no. Se però dovesse accadere, il rischio c’è. Ma dobbiamo evitarlo a tutti i costi. Lo spirito deve essere quello dell’analisi e dell’emulazione. Le competenze di tizio possono essere benissimo essere imitate o messe a disposizione di caio. Serve lungimiranza”.

Cos’è che potrebbe fare la differenza in un territorio come il viterbese?
“La differenza la fanno le persone. La differenza la fanno Francesco Bigiotti e Luca Profili a Bagnoregio, il sindaco di Civita Castellana e Giovanni Arena a Viterbo. A Bagnoregio ci sono state persone lungimiranti che hanno saputo cogliere le opportunità che si presentavano. Non esistono città che non possono cambiare, anche radicalmente, il proprio destino. Non esistono città ‘chiuse’ al cambiamento”.

Eppure in giro, e spesso sono i suoi stessi abitanti a dirlo, capita molte volte di sentire che Viterbo è “una città chiusa”…
“E’ vero, e me lo sono sentito dire tante volte spostandomi per il Paese. Ma sono tutte cavolate. Se c’è una cosa positiva della globalizzazione è l’informazione e la capacità di documentarsi e confrontare la propria realtà con quella degli altri. Non solo, ma se facciamo un’analisi di mercato ci renderemmo sicuramente conto che la città di Viterbo è pronta già da un pezzo per prodotti ed esperienze innovativi. Non è vero che Viterbo è una città chiusa. Con mezzi e formule diverse, Viterbo è assolutamente pronta per fare un ragionamento globale e introdurre novità importanti e all’avanguardia. Ci vogliono però idee, coraggio e le persone giuste. A tutti i livelli. Politica, aziende e società”.

Come intende impostare le relazioni con i sindacati?
“Vengo dall’esperienza della Cassa edile e già lì ho avuto modo di confrontarmi con le categorie delle tre organizzazioni sindacali. Le relazioni con i sindacati intendo affrontarle con franchezza e con un intento comune, che è quello del lavoro. Se partiamo dal presupposto che il lavoro è l’obiettivo, allora a beneficiarne è tutto il territorio. Quando su un territorio la disoccupazione è alta, la prospettiva può essere solo la morte del territorio. Perché non si hanno più prospettive. Oggi le istituzioni, parlo di quelle nazionali, hanno a disposizione risorse enormi. Quelle del Recovery found. Se queste risorse verranno utilizzate da stimolo per chi investe, e non a pioggia solo per superare il momento, la possibilità di cambiare pagina e farlo tutti insieme, nell’interesse di tutti, diventa consistente, vera, non illusoria. Faccio un esempio, citando quando ha detto Carlo Bonomi (presidente nazionale di Confindustria ndr) recentemente, citando una frase di Alessandro Zanardi. Bonomi scrive: ‘Fatemi evocare un campione che è un modello di caparbia capacità umana che affronta senza scoramento e vince sfide impossibili e che oggi sta combattendo una battaglia che spero vinca ancora una volta. A chi gli ha chiesto da dove venisse tanta forza, ha risposto: ‘La vita è come il caffè, puoi metterci tutto lo zucchero che vuoi, ma se lo vuoi fare diventare dolce devi avere la forza e la voglia di girare il cucchiaino. A Stare fermi non succede nulla’. ‘Ecco – ha proseguito Bonomi – oggi serve lo spirito di Alex, quel cucchiaino dobbiamo girarlo con forza tutti insieme’. Non basta che arriva lo zucchero, bisogna saperlo girare. I soldi del Recovery found, che sono tantissimi, vanno investiti nelle giuste leve che spingono l’economia. SE l’economia spinge ci sarà occupazione. E se c’è occupazione è fatta, perché si ridistribuisce ricchezza”.

Come è cambiata Unindustria Viterbo in questi anni?
“E’ cambiata tantissimo. Quello che era il progetto di fusione, iniziato anche da Domenico Merlani (ex presidente di Confindustria Viterbo ndr) si è concluso con l’entrata di Latina nel 2013. Oggi siamo un’unica realtà e siamo cambiati profondamente, percependo cosa significa. Non solo, ma Unindustria del Lazio in Italia è la realtà un industriale più diffusa territorialmente. Quindi siamo una realtà gigante, un colosso. E questo serve ad avere una forza negoziale con le istituzioni fondamentale. Viterbo da sola non avrebbe mai immaginato di potersi sedere a un tavolo con l’amministratore delegato di Ferrovie dello stato o di Enel. Tanto per fare degli esempi. Adesso abbiamo questa possibilità e le nostre aziende si possono confrontare con aziende importanti a tutti i livelli. Il confronto con gli altri e lo studio sono gli strumenti necessari per aprire la visione di ognuno di noi. Non c’è un settore economico che può prescindere da questo. Gli obiettivi di un’azienda sono conoscere il mercato, confrontarsi con gli altri, esaudire i desideri dei clienti, fare utili e investirli nelle imprese e socialmente”.

E con lei Unindustria Viterbo come cambierà?
“Innanzitutto ci sarà continuità con tutto quello che ha fatto Stefania Palamides (presidente uscente di Unindustria Viterbo ndr) con cui mi sono trovato molto bene. Ero anche nel suo comitato di presidenza. Cercherò poi di dare il mio contributo di idee che possono essere anche diverse dalle sue, perché vengo da un altro settore. Quello che porto sicuramente è una visione di responsabilità sociale delle aziende a cui tengo moltissimo, perché il mio faro nella mia azienda. E vorrei che fosse il faro di tutti. Ho cominciato a fare welfare aziendale nella mia azienda quando ancora nessuno ci pensava o ne parlava. Bisogna investire sul capitale umano e sui fornitori. La pandemia ha fatto emergere alcune differenze tra le imprese. Ad esempio nel rapporto con i fornitori. C’è stato chi già al primo giorno non li pagava più. E questo non è un atteggiamento serio”.

 

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Francesco Corsi




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