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Articolo - 08/07/2024

Farmaci nel mondo, il 2% è made in Lazio

Massimo Scaccabarozzi, Presidente della Sezione Farmaceutica e Biomedicali di Unindustria, ne ha parlato al Corriere della Sera 

 

Dal 2010 il Lazio ha il ruolo di il primo esportatore italiano del settore. Le aziende sono collocate per l’87,8% in provincia di Roma. Molte sono piccole e medio piccole realtà con una media di 120 dipendenti ciascuna. Gli investimenti in ricerca (308 milioni nel ‘22, 26 centri specializzati affiancati da 8 università) hanno generato il 17% dei brevetti riconducibili all’industria della salute di casa nostra.

 

Se fosse possibile indicare la provenienza di un blister di pillole o di un flacone di antibiotico, dettagliandone l’origine, il 2% delle confezioni vendute nel mondo riporterebbero l’etichetta «made in Lazio». Il settore farmaceutico biomedicale è infatti uno dei pilastri dell’ecosistema produttivo della Regione, grazie a spiccata innovatività, tecnologie avanzate e condizioni di lavoro ritenute «ottimali». Il Lazio è un’eccellenza. Dal 2010 è il primo esportatore italiano del settore. A livello nazionale l’80% della produzione è destinata al mercato estero e l’amministrazione, oggi governata da Francesco Rocca, è un altro grande committente. Il Lazio è inoltre al secondo posto in Italia per numero di addetti in ricerca e sviluppo.

 

Ne ha parlato al Corriere della Sera Massimo Scaccabarozzi, presidente di Menarini Biotech al secondo mandato come presidente della Sezione Farmaceutica e Biomedicali di Unindustria che rappresenta 62 consociate e oltre 14.600 dipendenti.

 

«Il made in Lazio è presente ovunque. Gli ultimi dati ci vedono saliti al 41% dell’export nazionale, primato che equivale a 13 miliardi. E’ un risultato incredibile. Nella Regione siamo i principali attori industriali, col 70% delle imprese che si muovono tra produzione, ricerca e commercializzazione [...]. Il tessuto industriale farmaceutico è molto variegato e equilibrato. Composto da grandi aziende a capitale estero che investono nel nostro Paese e da imprese a capitale italiano di diverse dimensioni che grazie a mirate strategie hanno elevati indici di internazionalizzazione».

 

Il motore sono i dipendenti, una forza lavoro estremamente qualificata in tutte le fasi della catena produttiva, col 90% degli occupati in possesso di laurea o diploma. Circa 12mila i lavoratori diretti ai quali si aggiungono altri 14200 addetti nei fornitori. «Nell’insieme si tratta di un ricchissimo ecosistema di professionisti, tecnici e operatori che uniti ai numerosi ricercatori non solo del privato ma anche in prestigiosi centri universitari compongono una forza occupazionale di grande valore», dice il rapporto Unindustria e Icom (istituto per la competitività) del 2023. Gli investimenti in ricerca (308 milioni nel 22, 26 centri specializzati affiancati d a 8 università) hanno generato il 17% dei brevetti riconducibili al farmaceutico italiano. Le criticità? Al primo posto secondo Scaccabarozzi, «la necessità di strategie di medio e lungo periodo per il sistema salute nazionale, con nuovi modelli di governance. Gli attuali non sono più adeguati in quanto ormai vecchi di 15 anni. Poi bisognerebbe accorciare le catene della fornitura per contrastare le dipendenze strategiche e considerare la fornitura di farmaci a livello locale come fattore di sicurezza nazionale». C’è inoltre il problema delle infrastrutture e della logistica che andrebbero migliorati come da tempo richiesto da tutti i comparti industriali. Su tutto pesano i costi aumentati di energia e materie prime che rendono sempre meno sostenibile la produzione di farmaci a ampio utilizzo e basso costo a vantaggio dei Paesi extraeuropei. 

 

In allegato l'articolo completo a cura di Margherita De Bac.

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