Contatti          Sedi
Bacheca    |   Login
 
Condividi Aggiungi ai preferiti Stampa Pdf

News - 06/05/2013

Semplificazione - Liberalizzazioni: recenti orientamenti della Corte Costituzionale

Con la sentenza n. 200/2012 la Corte si è pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 2, del DL n. 138/2011, recante "Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo Sviluppo"

Nella scorsa legislatura sono state approvate diverse norme di interesse per le imprese in materia di semplificazione normativa e amministrativa, tutela della concorrenza, liberalizzazione e sviluppo delle attività produttive. Spesso tali interventi normativi hanno dato luogo a contenziosi dinanzi alla Corte Costituzionale, soprattutto per questioni riguardanti il riparto di competenze tra livelli di governo e il bilanciamento di valori costituzionali.

Con la sentenza n. 200/2012 la Corte si è pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e 2, del DL n. 138/2011, recante "Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo Sviluppo". La disposizione afferma il principio generale della liberalizzazione delle attività economiche e subordina eventuali restrizioni e limitazioni alle stesse all'esigenza di tutela di interessi di rango costituzionale o generale.

Secondo la Corte tale principio appare compatibile con il quadro costituzionale in quanto, da un lato, elimina gli oneri sproporzionati o ridondanti che incidono sulla libertà di iniziativa economica e, dall’altro, garantisce che le attività economiche non si svolgano in contrasto con l’utilità sociale (si vedano anche le sentenze n. 247 e n. 152 del 2010, n. 167 del 2009 e n. 388 del 1992).

Sempre con riferimento alla legittimità di interventi legislativi volti alla regolazione delle attività economiche, si segnala la sentenza n. 299/2012, con la quale la Corte ha affrontato il tema della liberalizzazione dell’orario e dell’apertura delle attività commerciali. La Corte ribadisce che «la liberalizzazione da intendersi come razionalizzazione della regolazione del mercato, costituisce uno degli strumenti di promozione della concorrenza capace di produrre effetti virtuosi per il circuito economico. Una politica di "ri-regolazione" tende ad aumentare il livello di concorrenzialità dei mercati e permette ad un maggior numero di operatori economici di competere, valorizzando le proprie risorse e competenze. D’altra parte, l’efficienza e la competitività del sistema economico risentono della qualità della regolazione, la quale condiziona l’agire degli operatori sul mercato: una regolazione delle attività economiche ingiustificatamente intrusiva – cioè non necessaria e sproporzionata rispetto alla tutela di beni costituzionalmente protetti (si vedano anche sentenze n. 247 e n. 152 del 2010, n. 167 del 2009) – genera inutili ostacoli alle dinamiche economiche, a scapito degli interessi degli operatori, dei consumatori e degli stessi lavoratori e, dunque, in definitiva reca danno alla stessa utilità sociale. L’eliminazione degli inutili oneri regolamentari, mantenendo però quelli necessari alla tutela di superiori beni costituzionali, è funzionale alla tutela della concorrenza e rientra a questo titolo nelle competenze del legislatore statale» (sentenza n. 200 del 2012).

Con la sentenza n. 188/2012, la Corte si è pronunciata sulla normativa che disciplina la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), rilevando che le finalità di semplificazione normativa e lo snellimento delle procedure amministrative, perseguite dalla disciplina in materia, non si pongono in contrasto con l’interesse costituzionale al controllo pubblico per l’armonico sviluppo del territorio. Ed infatti, l’attribuzione all’autorità amministrativa del potere di incidere in autotutela sugli effetti della SCIA, pur dopo l’esaurimento del breve termine concesso per vietare l’attività edilizia, costituisce, in conformità all’art. 97 Cost., un bilanciamento agli eventuali pregiudizi derivanti dalla celerità dei tempi dell’attività amministrativa.

Anche nelle sentenze nn. 164 e 203/2012 la Corte, nel dichiarare l’infondatezza delle questioni prospettate, ha precisato che «Il principio di semplificazione, ormai da gran tempo radicato nell’ordinamento italiano, è altresì di diretta derivazione comunitaria (Direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, attuata nell’ordinamento italiano con decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59). Esso, dunque, va senza dubbio catalogato nel novero dei principi fondamentali dell’azione amministrativa (sentenze n. 282 del 2009 e n. 336 del 2005)».

Con la sentenza n. 8/2013 la Corte ha affrontato il tema delle misure legislative volte al coordinamento della finanza pubblica.

In particolare, i giudici costituzionali sono stati chiamati a pronunciarsi sulla legittimità dell’’art. 1, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante "Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività", il quale prevede che la Presidenza del Consiglio comunichi al Ministero dell’economia «gli enti che hanno proceduto all’applicazione delle procedure previste dal presente articolo», volte all’attuazione del principio di liberalizzazione.

Tale adeguamento viene considerato tra i parametri di "virtuosità", sulla base dei quali, ai sensi dell’art. 20, comma 2, del DL n. 98 del 2011, gli enti territoriali vengono suddivisi in due classi, ai fini del rispetto del patto di stabilità interno. Secondo tale disciplina, gli enti stimati complessivamente virtuosi sono chiamati a rispettare vincoli di finanza pubblica meno stringenti rispetto agli enti meno virtuosi, come ad esempio quelli relativi al contenimento delle spese correnti, ai sensi dell’art. 77-ter, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria". Al contrario, gli enti collocati nella classe meno virtuosa subiscono una riduzione dei trasferimenti e concorrono alla realizzazione di obiettivi di finanza pubblica maggiormente onerosi (art. 14, commi 1 e 2, del DL n. 78/2010, "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica").

La valutazione della "virtuosità" degli enti si basa su un complesso di parametri assai articolato (ex art. 20, comma 2, lettere da a a l, e comma 2-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011), tra i quali la disposizione impugnata introduce anche l’adeguamento ai principi della razionalizzazione della regolazione economica, quale elemento aggiuntivo rispetto agli altri fattori già previsti dal legislatore.

Secondo la Corte, «non è difficile cogliere la ratio del legame tracciato dal legislatore fra le politiche economiche di liberalizzazione, intesa come razionalizzazione della regolazione, e le implicazioni finanziarie delle stesse. Secondo l’impostazione di fondo della normativa – ispirata a quelle evidenze economiche empiriche che individuano una significativa relazione fra liberalizzazioni e crescita economica, su cui poggiano anche molti interventi delle istituzioni europee – è ragionevole ritenere che le politiche economiche volte ad alleggerire la regolazione, liberandola dagli oneri inutili e sproporzionati, perseguano lo scopo di sostenere lo sviluppo dell’economia nazionale. Questa relazione tra liberalizzazione e crescita economica appare ulteriormente rilevante in quanto, da un lato, la crescita economica è uno dei fattori che può contribuire all’aumento del gettito tributario, che, a sua volta, concorre alla riduzione del disavanzo della finanza pubblica; dall’altro, non si può trascurare il fatto che il Patto europeo di stabilità e crescita – che è alla base del Patto di stabilità interno – esige il rispetto di alcuni indici che mettono in relazione il prodotto interno lordo, solitamente preso a riferimento quale misura della crescita economica di un Paese, con il debito delle amministrazioni pubbliche e con il deficit pubblico. Il rispetto di tali indici può essere raggiunto, sia attraverso la crescita del prodotto interno lordo, sia attraverso il contenimento e la riduzione del debito delle amministrazioni pubbliche e del deficit pubblico. In questa prospettiva, è ragionevole che la norma impugnata consenta di valutare l’adeguamento di ciascun ente territoriale ai principi della razionalizzazione della regolazione, anche al fine di stabilire le modalità con cui questo debba partecipare al risanamento della finanza pubblica. L’attuazione di politiche economiche locali e regionali volte alla liberalizzazione ordinata e ragionevole e allo sviluppo dei mercati, infatti, produce dei riflessi sul piano nazionale, sia quanto alla crescita, sia quanto alle entrate tributarie, sia, infine, quanto al rispetto delle condizioni dettate dal Patto europeo di stabilità e crescita».

Non è quindi irragionevole che lo Stato attribuisca vantaggi, nel quadro del patto di stabilità interno, agli enti che contribuiscono alla crescita del gettito.

I giudici costituzionali ritengono, pertanto, ragionevole la possibilità di valutare «l’adeguamento di ciascun ente territoriale ai principi della razionalizzazione della regolazione, anche al fine di stabilire le modalità con cui questo debba partecipare al risanamento della finanza pubblica».

Introdurre un regime finanziario più favorevole per le Regioni che sviluppano adeguate politiche di crescita economica costituisce una misura premiale, non incoerente rispetto alle politiche economiche che si intendono, in tal modo, incentivare.

In definitiva, secondo la Corte, non sussiste alcuna violazione sotto l’invocato profilo dell’art. 119 Cost., né dell’art. 117, terzo comma, Cost., in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Per un quadro esaustivo delle pronunce della Corte si rinvia al dossier elaborato dalla stessa sulla giurisprudenza costituzionale 2012

 

 

 

 

Unindustria favorisce lo sviluppo
delle imprese del territorio di Roma,
Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo

Codice Fiscale 80076770587 - Fax +39 06 8542577 - PEC info@pec.un-industria.it

Do not follow or index