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News - 07/10/2014

Appalti pubblici: legittimo richiedere il protocollo di legalità

Le stazioni appaltanti possono prevedere la sottoscrizione di protocolli di legalità e anche operare selettivamente tra chi vi aderisce e chi no.

Da quando il d. lgs. 8 giugno 2001 n. 231 ha introdotto nell’ordinamento italiano la responsabilità amministrativa da reato degli enti collettivi, la cultura della legalità del mondo imprenditoriale è diventata un obiettivo perseguito con particolare attenzione per l’evidente ragione che l’interesse dello Stato è nella prevenzione degli illeciti e non nella loro sanzione.

L’adozione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo è e rimane facoltativa, ma sempre maggiore è la pressione per una adozione generalizzata in ambito aziendale e più consistenti sono gli incentivi agli enti collettivi perché li adottino formalmente e sostanzialmente.

Ad es., con decreto 13 febbraio 2014 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali sono state previste procedure semplificate (e meno costose), specificamente orientate a favorire l’adozione dei citati modelli da parte delle piccole e medie imprese.

A fronte di una realtà normativa che non obbliga le imprese a dotarsi di modelli funzionali a contrastare la commissione dei reati presupposto di responsabilità amministrativa degli enti collettivi (per un quadro d’insieme si veda S. M. Corso, Codice della responsabilità “da reato” degli enti, Giappichelli, Torino, 2014, p. 163 ss.) si registra, da parte dello Stato e degli enti pubblici che assumono la veste di controparti contrattuali, la volontà di trattare soltanto con imprese che diano garanzia di sensibilità non formale per l’etica degli affari e del lavoro.

Di conseguenza, l’impresa privata che aspiri a partecipare a gare pubbliche rischia di trovarsi pregiudicata dalla non previa adozione dei modelli organizzativi ex art. 6 d. lgs. n. 231/2001, in quanto l’ente pubblico dichiara di voler avere controparti contrattuali che diano garanzie di adesione alla cultura della legalità e preseleziona i concorrenti in base (anche) alla presenza di modelli organizzativi.

In questo contesto – che vuole favorire la formazione di una concorrenza qualificata per legalità, trasparenza, eticità e correttezza – possono essere ricordate la normativa del 2012 sul rating di legalità delle imprese e la delibera 14 novembre 2012 n. 24075 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) che ha precisato i requisiti, i controlli e le procedure per ottenere e mantenere nel tempo detto rating.

Con una recentissima decisione il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana (sentenza 9 luglio-2 settembre 2014 n. 490), pronunciandosi in sede giurisdizionale, ha esaminato il ricorso di un’impresa esclusa da una gara (che aveva inizialmente vinto) per la mancanza della dichiarazione di accettazione del protocollo di legalità richiesto dal bando di gara a ciascun aspirante alla aggiudicazione del contratto pubblico.

Non era in gioco la mancanza sostanziale dei requisiti di legalità, ma l’assenza materiale del documento attestante l’accettazione dello specifico protocollo oggetto della circolare n. 593 del 31 giugno 2006 dell’Assessorato regionale del LL.PP. della Regione Sicilia, documento da redigere secondo lo schema predisposto dalla Stazione appaltante.

Il caso è stato (condivisibilmente) deciso richiamando l’art. 46 del codice degli appalti (art. 46 d. lgs. n. 163/2006) e la sopravvenuta normativa per la prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione (l. 6 novembre 2012 n. 190).

Le stazioni appaltanti ben possono prevedere la sottoscrizione di protocolli di legalità e anche operare selettivamente tra chi vi aderisce e chi no, in quanto la previsione di condizioni di ammissione alla gara è coerente con l’obiettivo del contrasto di eventuali tentativi di infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore gli appalti e della scelta della migliore possibile delle controparti contrattuali.

Da un canto, è pacifico che le amministrazioni debbano fare controlli sostanziali, dall’altro, è non meno pacifico che anche carenze apparentemente formali potrebbero avere una loro valenza sintomatica.

Va segnalato, come ultimo profilo, che il ricordato C.G.A. per la Regione siciliana ha coinvolto, con questione pregiudiziale, la Corte di giustizia dell’Unione europea perchè verifichi la compatibilità - con gli obblighi sovranazionali - di questa peculiare causa di esclusione a carico di imprese partecipanti a procedure di affidamento di contratti pubblici.

Lo scrupolo è rimarchevole, ma sarebbe sorprendente scoprire che l’introduzione di regole (erga omnes) a tutela di interessi alla legalità e alla sicurezza e regolarità dei luoghi di lavoro potrebbe venir censurata per una lettura sui generis di principi contenuti nella direttiva 2004/18/CE.

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