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News - 31/10/2019

Videosorveglianza: il controllo a distanza dei lavoratori

Il potere di controllo a distanza del datore di lavoro, alla luce dello Statuto dei Lavoratori e della normativa sulla protezione dei dati personali

Il controllo esercitato dal datore di lavoro sui dipendenti costituisce da sempre una delle componenti naturali del suo potere direttivo, strettamente connesso al ruolo di capo dell’impresa. Tale potere tuttavia, soggiace a stringenti limiti posti non solo dallo Statuto dei lavoratori, ma anche dalla disciplina in materia di tutela dei dati personali.

Sul punto uno dei temi più dibattuti concerne la possibilità per il datore di lavoro di effettuare controlli a distanza del lavoratore, attraverso impianti di videosorveglianza. In particolare, sempre più spesso accade che le aziende avvertano la necessità di installare telecamere sul lavoro per ragioni di sicurezza o per prevenire furti e violazioni.

L’articolo 4 della legge 300/1970, come modificato dal Decreto Legislativo n. 151 del 14 settembre del 2015 (Jobs Act), ha cercato di individuare un punto di equilibrio tra le esigenze di sicurezza, prevenzione e repressione dei reati e il diritto alla riservatezza delle persone, prevedendo quanto segue: “Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali(…)”

Dalla disposizione in esame emerge un doppio ordine di limiti al potere di controllo del datore di lavoro, infatti se da un lato l’installazione di telecamere è consentita esclusivamente per far fronte a esigenze organizzative e produttive, nonché per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, dall'altro l’installazione può avvenire solo in presenza di un accordo collettivo stipulato tra datore di lavoro e la RSU o le RSA, ovvero in mancanza di accordo sindacale, dovuta all'assenza di rappresentanze sindacali in azienda o al mancato raggiungimento di un’intesa, le telecamere possono essere installate richiedendo e ottenendo un’autorizzazione dalla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. 

Tuttavia, per un lecito utilizzo dei dati raccolti dagli strumenti di controllo non è sufficiente aver raggiunto la summenzionata intesa, infatti il comma 3 dell’ articolo 4 legge 300/1970 precisa che è necessario inoltre dare “(...)al lavoratore adeguata informazione sulle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e rispettare quanto disposto dal Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196(…)” (c.d. Codice Privacy). Pertanto una volta espletata la procedura d’intesa, prima di installare un impianto di videosorveglianza per il controllo a distanza dei dipendenti, il datore di lavoro, in base a quanto espressamente previsto dal provvedimento generale del Garante Privacy dell’ 8 aprile 2010 (arricchita dalla recente entrata in vigore delle linee guida del Garante Europeo n. 3/2019), dovrà preventivamente informare i lavoratori o gli interessati attraverso un’apposita informativa privacy ex articolo 13 Decreto Legislativo n. 196/2003 ed apporre cartelli nei pressi dell’impianto utilizzato per le riprese, più precisamente ad altezza occhi, così da consentire agli interessati di essere informati circa la presenza di strumenti di videosorveglianza ancor prima di entrare nel raggio di azione della telecamera.

La violazione delle norme in tema di trattamento comporterebbe non solo l’inutilizzabilità dei dati altrimenti acquisiti, ma nei casi più gravi, potrebbe configurare il reato d'illecito trattamento di dati ex articolo 167 Codice Privacy.

Alla luce di quanto sopra riportato, la possibilità per il datore di lavoro di istallare telecamere nascoste per un controllo a distanza dei dipendenti sembra dunque doversi escludere, tuttavia la Grand Chamber della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha recentemente scardinato tale principio, stabilendo con sentenza del 17 ottobre 2019 che il datore di lavoro può installare telecamere nascoste senza informare i propri dipendenti, purché ricorrano fondati sospetti circa la possibilità che quest’ultimi lo stiano derubando e in conseguenza di ciò abbia subito perdite ingenti. 

La decisione della CEDU è stata oggetto di commento anche da parte del garante italiano, il quale ha sottolineato come la sentenza non avalli una sorta di liberalizzazione del monitoraggio occulto dei dipendenti, ma conferma il principio di proporzionalità quale requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo. Nel caso di specie l’installazione di telecamere nascoste sul luogo di lavoro è, infatti, giustificata dalla presenza di presupposti, che escludono dunque la possibilità che la videosorveglianza occulta possa divenire una prassi ordinaria, bensì una extrema ratio, a cui ricorrere a fronte di gravi illeciti e con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore. Infine, sulla scorta di quanto poc'anzi sottolineato, la Grande Camera ha evidenziato come le stesse autorità nazionali devono garantire un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco ossia il rispetto della privacy da un lato e dall'altro l’esigenza datoriale di proteggere i propri patrimonio aziendale e assicurare il buon funzionamento dell’attività economica.

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