In allegato OdG Camera su trasferta, nota ANCE su OdG ed emendamento Confartigianato su trasfertisti
La sentenza della Corte di Cassazione n. 396 del 13 gennaio 2012 è intervenuta sulla “annosa” questione concernente la distinzione tra dipendenti che prestano la loro attività lavorativa temporaneamente in trasferta e lavoratori trasfertisti, cioè lavoratori tenuti per contratto a svolgere la loro prestazione lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi.
La problematica verte sul differente trattamento ai fini contributivi applicabile alle indennità erogate a tali differenti categorie di lavoratori, con riflessi anche ai fini fiscali in base al principio dell’armonizzazione delle basi imponibili.
La disciplina delle indennità erogate ai dipendenti in “trasferta”
Le indennità e i rimborsi spese erogate ai dipendenti in trasferta di lavoro, fuori dal territorio del Comune in cui si trova la sede ufficiale di lavoro, sono escluse integralmente dalla formazione del reddito imponibile fino a concorrenza delle seguenti soglie (art.51, comma 5 del TUIR):
- fino ad euro 46,48 al giorno per trasferte effettuate in Italia;
- fino ad euro77,47 euro per trasferte effettuate all’estero.
I limiti delle indennità forfetarie sono ridotte di in un terzo in caso di rimborso delle spese di vitto o di alloggio (o qualora le stesse siano fornite gratuitamente). La riduzione è di due terzi se il rimborso riguarda entrambe le voci.
La disciplina delle indennità erogate ai “trasfertisti”
Le indennità e le maggiorazioni di retribuzione erogate ai trasfertisti, tenuti per a svolgere la loro prestazione lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, sono assoggettate ad una tassazione parziale nella misura del 50% del loro ammontare (art. 51, comma 6 del TUIR).
Tale disposizione fu introdotta dalla Riforma delle disposizioni fiscali e previdenziali in materia del reddito di lavoro dipendente (Dlgs n. 314 del 2 settembre 1997 e prevedeva nella sua seconda parte l’emanazione di un provvedimento del Ministero delle Finanze, di concerto con il Ministero del Lavoro e Previdenza sociale, che doveva individuare in modo chiaro quali erano le categorie di lavoratori inquadrabili come “trasfertisti” e delle relative disposizioni applicative. Tale decreto non fu mai emanato, anche su indicazione del Sistema Confindustria, perché avrebbe comportato l’assoggettamento definitivo dei lavoratori di alcuni settori industriali al regime di tassazione parziale dei trasfertisti, meno favorevole rispetto a di esenzione da tassazione dei dipendenti in trasferta.
Criteri distintivi tra le due categorie elaborate dalla prassi (Agenzia delle Entrate, INPS)
Il vuoto normativo creato dalla mancata emanazione del decreto è stato colmato dalla prassi ministeriale che ha cercato di stabilire dei criteri distintivi tra le due categorie di lavoratori utilizzabili dalle imprese in qualità di sostituti di imposta.
L’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 326 del 23 dicembre 1997, ha chiarito che si qualificano come trasfertisti “.. tutti quei soggetti ai quali viene attribuita una indennità, chiamata o meno di trasferta, ovvero una maggiorazione di retribuzione, che in realtà non è precisamente legata alla trasferta poiché è attribuita, per contratto, per tutti i giorni retribuiti, senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove si è svolta la trasferta..”.
In tutti i casi in cui l’indennità o la maggiorazione di retribuzione è attribuita con carattere continuativo, senza alcun controllo circa l’effettuazione o meno di prestazioni in trasferta o del luogo di trasferta, si deve applicare la disciplina fiscale dei ”trasfertisti”.
Tale chiarimento è stato confermato nella seguente risoluzione n. 56/2000, avente ad oggetto il trattamento fiscale delle indennità corrisposte agli autotrasportatori di merci. L’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che gli autotrasportatori non possono essere considerati trasfertisti, perché:
- il loro contratto prevede una sede di lavoro e
- le indennità spettano solo per i giorni in cui è effettivamente effettuata una trasferta fuori dalla sede contrattuale (es. le indennità non spettavano nei giorni di assenza, di ferie, di permesso, malattia, infortunio).
Il Ministero del Lavoro, con la nota della Direzione Generale del 20 giugno 2008, si è allineato alle predette interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo che il regime contributivo dei trasfertisti si applica nei casi in cui il contratto non preveda una sede di lavoro predeterminata ed il soggetto abbia diritto ad una particolare maggiorazione contributiva, indipendentemente dal fatto che il soggetto si sia recato in trasferta e dove si sia svolta.
Devono essere invece qualificate come indennità di trasferta, le somme erogate a carattere occasionale/temporaneo ai lavoratori in funzione di singole trasferte di lavoro ai sensi dell’art. 51, comma 5 del TUIR, ove sussista un luogo di svolgimento dell’attività lavorativa risultante dal contratto individuale e dalla dichiarazione di assunzione consegnata al lavoratore.
L’INPS, con il messaggio n. 27271 del 5 dicembre 2008, ha recepito tali chiarimenti ministeriali invitando gli uffici periferici di controllo a qualificare ai fini contributivi come trasferisti solo i lavoratori che non avevano per contratto una sede di lavoro prestabilita e che, contemporaneamente, ricevevano una indennità di trasferta continuativa a prescindere dall’effettività della trasferta e dal luogo di svolgimento.
Tale chiarimento consentiva di escludere da tale regime i lavoratori dell’aziende del settore metalmeccanico (aziende di impiantistica), che in base ad espressa disposizione del CCNL svolgono l’attività in luoghi sempre variabili e diversi da quello di assunzione e/o aziendale, ma che ricevono l’indennità solo per il periodo effettivo di svolgimento della trasferta fuori dal territorio comunale.
Sentenza della Corte
La Cassazione, con la sentenza 396/2012, ha ribaltato tali chiarimenti ed ha qualificato come trasfertisti degli operai specializzati inviati per contratto a prestare la loro attività in cantieri variabili e diversi, a prescindere dal fatto che era indicata nel contratto collettivo una sede di lavoro (la sede legale dell’azienda) e del fatto che percepivano una indennità di trasferta in relazione ai periodi di effettiva trasferta fuori dalla sede stessa.
La Corte, rilevando come l’azienda non avesse provato quale attività ordinariamente svolgessero i tecnici specializzati nella sede legale, ha chiarito che la sede di lavoro non è la mera sede di assunzione del lavoratore (o di gestione burocratica del lavoratore).
Ai fini dell’applicazione del regime fiscale e contributivo per i dipendenti in trasferta rileva il luogo in cui il dipendente è chiamato a svolgere normalmente la propria attività lavorativa. Nel caso la prestazione di lavoro sia svolta in località sempre diverse, si deve applicare il regime dei trasfertisti, a prescindere dal dato formale di una assunzione in un dato luogo.
La Cassazione chiarisce, inoltre, che ai fini dell’applicazione del regime fiscale dei trasfertisti, non si richiede obbligatoriamente che le indennità siano erogate in modo fisso ed in via continuativa, perché nel testo del comma 6 dell’art. 51 del TUIR si utilizza il temine “..anche se corrisposte con carattere di continuità..”.
Pertanto l’elemento centrale per la qualificazione come trasfertista è la prestazione dell’attività in luoghi sempre diversi e non l’eventuale, ma non necessario, erogazione di una indennità continuativa.
La Cassazione ha ribadito questo orientamento sentenza n.22796 del 7 ottobre
La Suprema corte, con la sentenza 22796 del 7 ottobre 2013, ritiene che il comma 6, articolo 51 del Tuir non richieda per la sua applicazione che le indennità e le maggiorazioni previste siano corrisposte in maniera fissa e continuativa, anche indipendentemente dalla effettuazione della trasferta e dal tipo. Quello che rileva, secondo la Cassazione, è che il lavoro dei dipendenti venga normalmente svolto in luoghi variabili e diversi e che la sede aziendale sia utilizzata per la mera predisposizione di quanto occorrente, ogni mattina, prima di partire per i vari cantieri di lavoro. Da questa sentenza emerge una figura di lavoratore trasfertista diversa da quello fin qui tracciato dai pareri e dalle risoluzioni ministeriali e che, se consolidata, porterebbe a definire trasferisti tutti quei dipendenti impiegati in attività che per loro natura vengono svolte presso i clienti o, comunque, fuori dalla sede aziendale.
Dalla lettura del comma 6 dell'articolo 51 del Tuir si direbbe, invece, che l'identificazione del trasfertista derivi dalla volontà delle parti che contrattualmente definiscono l'obbligazione del lavoratore a prestare la sua attività in luoghi sempre variabili e diversi non avendo, quindi, una predefinita sede di lavoro.
Effetti della sentenza
Tale sentenza della Corte di Cassazione potrebbe avere potenziali ripercussioni sulle posizioni assunte dall’INPS con riferimento a quelle figure di lavoratori del settore dell’industria metalmeccanica (impiantistica, edile, commerciale, estrattiva), aventi una sede di lavoro fissata nel contratto, ma che svolgono prevalentemente la loro attività in luoghi diversi e variabili.
Tali lavoratori venivano trattate dalle imprese associate (settore impiantistico) quali dipendenti in trasferta, sulla base dei chiarimenti INPS del 2008 e dell’Agenzia delle Entrate del 1997, posto che tali lavoratori avevano previsto per contratto una sede fissa di lavoro e percependo una indennità a carattere non continuativo erogata solo in caso di effettiva trasferta.
Va inoltre sottolineato che in questi anni importanti realtà del sistema(ad esempio: Sirti) hanno presentato ricorsi amministrativi contro verbali ispettivi dell’INPS che contestavano l’applicabilità della trasferta e che tali ricorsi sono stati accolti all’unanimità dal competente Comitato centrale dell’INPS.
Secondo le conclusioni espresse dalla Cassazione invece per continuare ad applicare il regime della trasferta, si dovrebbe verificare per tali lavoratori se effettivamente la sede indicata nel contratto del dipendente è la sede di effettivo svolgimento dell’attività lavorativa.
Se fosse applicato un criterio di prevalenza legato ai giorni di effettivo svolgimento dell’attività lavorativa nella sede di lavoro (si porrebbe tra l’altro il dubbio se l’attività di preparazione dell’intervento esterno svolta in sede dai tecnici specializzati, rilevi come attività ordinaria), interi settori industriali sarebbero di fatto esclusi dal regime fiscale e contributivo della trasferta e rientrerebbero nel regime dei trasfertisti.
Inoltre, nel caso le conclusioni della sentenza fossero recepite in sede di verifica dagli uffici dell’INPS e dell’Agenzia delle Entrate, si verrebbe a creare un rischio di possibili accertamenti sui lavoratori e sulle imprese quali sostituti d’imposta per le annualità passate ancora aperte alla verifica.
La convinzione diffusa è quella che si tratti di un'innovazione profonda, derivante dal comma 6 in argomento, che al di là di qualunque altra considerazione consente alle parti di "valutare" se l'esigenza di disponibilità di una parte (datore di lavoro) sia accolta e accettata dall'altra (dipendente) in cambio di un'indennità o di una maggiorazione di retribuzione che, in tal caso, è tassata al 50%, in luogo di quanto previsto per l'indennità di trasferta.
Possibili soluzioni
La strada da percorrere potrebbe dunque essere innanzitutto quella di sanare il pregresso e gestire il quotidiano arrivando ad una circolare interpretativa che stabilisca che solo quando l’attività è prestata esclusivamente in luoghi diversi si applica il regime dei trasfertisti, mentre in caso di attività prestata anche presso la sede contrattuale si applicherebbe il regime dei dipendenti in trasferta; per i casi già verificati e in contenzioso, ridurre almeno gli effetti per le annualità passate consentendo la regolarizzazione senza applicazione di sanzioni, considerato tra l’altro la situazione di incertezza interpretativa alimentata dalla stessa prassi emanata dal Ministero del Lavoro e dall’Agenzia delle Entrate, come previsto tra l’altro dallo Statuto del Contribuente.
Nel medio periodo occorre ragionare su una modifica normativa che riveda complessivamente la distinzione di regime fiscale e contributivo esistente tra trasferte e trasfertisti: tale distinzione nata in un periodo in cui forse la trasferta aveva carattere occasionale non è più attuale nel mondo attuale dove c’è necessità di lavoratori specializzati che prestano la loro attività in luoghi sempre diversi riducendo proporzionalmente i loro costi salariali per le imprese.