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Interviste ed Editoriali - 05/12/2022

Sergio Saggini: "Pnrr e provincia di Viterbo, ecco il quadro complessivo di tutti i finanziamenti previsti per la Tuscia"

Il Presidente di Unindustria Viterbo: "Siamo davanti a una vera e propria domanda di risorse con il rischio, tuttavia, di non avere le capacità amministrative e aziendali per poterlo fare"


“Con il Pnrr siamo davanti a una vera e propria domanda di risorse – dice il Presidente di Unindustria Viterbo Sergio Saggini - con il rischio, tuttavia, di non avere le capacità amministrative e aziendali per poterlo fare”. Un quadro complessivo, per la prima volta, messo a disposizione da uno report realizzato da Unindustria e Orep, l’osservatorio Recovery plan.

In tutto, tra opere dirette, investimenti indiretti e bandi per le imprese, per la Tuscia è previsto quasi un miliardo di euro. Per le opere dirette, cioè quelle per le quali si dovranno attivare le amministrazioni del territorio, sono stati stanziati 141 milioni di euro. Per quelle indirette, vale a dire investimenti che dovranno essere implementate da enti e soggetti esterni al territorio provinciale, ci sono oltre 600 milioni di euro. Infine, i finanziamenti per i bandi cui dovranno partecipare le imprese. Bandi nazionali e regionali che riguardano anche le aziende della Tuscia.

I progetti, salvo deroghe future, vanno chiusi e realizzati entro il 2026, altrimenti i finanziamenti devono essere restituiti. E sarebbe un disastro. Non solo, ma soltanto una parte dei soldi messi a disposizione dell’Unione europea per superare la crisi dovuta alla pandemia, e una crisi strutturale che si trascina da oltre 10 anni, sono a fondo perduto. Tutti gli altri andranno restituiti.

Ad esempio, a livello nazionale, il Pnrr prevede 191 miliardi di euro di investimenti. 122 sono prestiti da restituire e soltanto 68 sono sovvenzioni a fondo perduto. A livello regionale, Lazio, le risorse stanziate dal piano ammontano a 16 miliardi e 600 mila euro. Soltanto per mobilità e infrastrutture ci sono 8,2 miliardi.

“Il Pnrr – ha detto Sergio Saggini – è un’occasione fondamentale che non possiamo perdere. Una misura di sviluppo decisiva, con tanti soldi che andranno comunque restituiti. In che modo? L’opera infrastrutturale che si andrà a realizzare dovrà determinare una fase di sviluppo di lungo periodo, nonché una risalita del prodotto interno lordo (Pil). Tutto questo metterà a disposizione del territorio maggiori ricchezze e risorse che permetteranno di far fronte anche ai prestiti ricevuti. Se spendo 100 in termini di finanziamenti, dovrò quindi determinare uno sviluppo che mi permetta di avere un ritorno in termini di crescita pari a 250”.

“Se riusciremo a mettere a terra le opere previste – aggiunge Saggini – avremo sviluppo e crescita. Diversamente, sarà la più grande occasione persa nella storia del paese e dei territori”. “Unindustria – ha poi commentato il presidente degli industriali viterbesi – con la sua capacità progettuale sarà di supporto alle aziende e alle amministrazioni, con il comune obiettivo di far sviluppare il territorio”.

Tuttavia, le preoccupazioni sono diverse. Ad evidenziarle è sempre il presidente Sergio Saggini.

Innanzitutto l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni dei territori e delle aziende. La loro capacità di spendere i finanziamenti messi a bando. Una situazione che riguarda tutte le amministrazioni e tutte le aziende. Non solo della Tuscia.

“Comuni e province – spiega infatti Saggini – per spendere i finanziamenti del Pnrr dovranno fare bandi, appalti e quant’altro serve a mettere in opera questa enorme quantità di soldi. Ciononostante, le stazioni appaltanti non sono attrezzate. Ed è un problema di tutti i comuni, abituati finora a spendere soltanto un decimo di quello che è invece previsto dal piano”.

Una situazione che già, a livello nazionale è possibile toccare con mano. Basta guardare i grafici realizzati da Unindustria. Entro il 2022, l’Italia avrebbe dovuto spendere 29 miliardi dei 191 assegnati dall’Ue. Finora ne sono stati spesi soltanto 15. Per recuperare il divario che già si è venuto a creare, servirebbe un salto in termini di quantità di spesa enorme. Da 15 a 40 miliardi entro il prossimo anno. Per poi mettersi al pari nel 2024, 46,5 miliardi spesi su 47,4 previsti dal Pnrr. Un obiettivo, stando alle cifre attuali, difficile da raggiungere.

“Una delle difficoltà dei comuni – prosegue Saggini – è la forza lavoro. Per spendere i soldi del piano dovrebbe essere tutta concentrata sul Pnrr, tralasciando tutto il resto. Inoltre, se tutte le opere del piano nazionale fossero messe a bando, anche da parte delle imprese non ci sarebbe più capacità produttiva. Non solo, ma non abbiamo nemmeno aziende capaci di produrre tutto ciò che viene richiesto”.

In sintesi, per raggiungere gli obiettivi, 527 traguardi a livello nazionale, pubbliche amministrazioni e aziende si dovrebbero concentrare soltanto su questo. Dimenticandosi di tutto il resto. Una prospettiva sostanzialmente impossibile. Un’impresa gigantesca.

Infine, il problema del caro energia. “Un problema – ha detto Saggini – che ha dato vita a conseguenze estreme. Una su tutte, l’aumento delle materie prime, in particolare nell’edilizia. Edilizia che, con le opere infrastrutturali, avrà un ruolo decisivo. Un aumento che ha dato seguito a due elementi inflazionistici. Il primo, l’esplosione della produzione post Covid dopo che il settore era stato fermo per anni. Infine il bonus 110%. In tal caso, la forte richiesta di materiali e la loro poca disponibilità, ha portato a un aumento considerevole dei prezzi delle materie prime. Tutto ciò significa che i soldi previsti dalle amministrazioni per i bandi del Pnrr vanno rivisti, semplicemente perché non sono più aggiornati alla situazione attuale. Si è verificato infatti uno scostamento tra il costo delle materie prime e i finanziamenti previsti dalle stazioni appaltanti per i bandi del Pnrr. Se, ad esempio, realizzare una scuola due anni fa costava 5 milioni, ora ne costa sette. Proprio perché il prezzo delle materie prime è aumentato. Quindi, se i vecchi bandi dovessero essere mantenuti tali, il rischio che nessuna impresa partecipi è reale”.

 

 

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