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Interviste ed Editoriali - 13/02/2023

Proposte per una nuova politica industriale dell’Italia in Europa

Editoriale del Direttore Generale di Unindustria, Maurizio Tarquini, su Dimensione Informazione


La disciplina degli Aiuti di Stato alle imprese produttive nasce dalla volontà di assicurare la tutela del mercato unico europeo e delle regole della concorrenza. Tra le deroghe al divieto della concessione di aiuti di Stato è contemplata anche la necessità di rapportarsi con un’altra grande politica europea, quella della coesione regionale, che mira, con strumenti di etero-compensazione a ridurre i divari territoriali. Ovviamente la competizione con altre imprese non appartenenti alla UE risultava inizialmente “temperata” dalla previsione di dazi, via via rimossi. A questo regime in ambito UE furono comunque affiancate deroghe che consentivano livelli più o meno elevati di aiuti finanziari riconducibili a parametri quali territori, settori, dimensioni aziendali. Nella previsione di tali deroghe da parte degli Organismi Comunitari, molto peso avevano ovviamente la dimensione, il ruolo e l’influenza del singolo Paese proponente le politiche di sostegno alle imprese dei Paesi più indebitati e dei Paesi mediterranei, in generale, valutate con estrema cautela temendo una distorsione del mercato a favore, in definitiva, di chi non lo “meritava”. La disciplina degli Aiuti all’impresa, e le sue deroghe, ha sempre caratterizzato la vita della UE: già nel Trattato di Roma del 1957 sono contenuti gli articoli che regolano le deroghe al divieto degli aiuti. In tutti questi anni, a condizioni geopolitiche ed economiche dinamiche, ma stabili nelle condizioni globali, ci sono stati continui tentativi da parte degli Stati membri di modificare le regole degli Aiuti di Stato. Questo fino all’esplosione della pandemia di Covid-19 nel 2020 e alla crescita di attenzione sull’emergenza climatica (2021-22) che ha condotto all’ampliamento delle deroghe grazie ai cd. Temporary Framewoks Covid (2020) e Crisi (2022).

Il conflitto russo-ucraino, anche se interessa formalmente due stati limitrofi, ha determinato la modifica dei rapporti politici ed economici praticamente in tutti i continenti e si può, pertanto, affermare che i due accadimenti presi in considerazione hanno avuto l’effetto di alterare l’assetto, le finalità e le catene del valore di gran parte dei settori e delle filiere produttive nel mondo. Tutti i riferimenti di rapporti sociali, economici e politici degli anni della Guerra Fredda, cioè in realtà del lungo periodo di pace dopo il secondo conflitto mondiale, vengono rapidamente spazzati via.

In questa nuova situazione, i principali competitori produttivi e commerciali, in definitiva di predominio globale, dei paesi della UE, gli Stati Uniti d’America e la Repubblica Popolare Cinese, hanno dispiegato tutta la loro potenza per proteggere il proprio sistema produttivo: gli Stati Uniti, solo per citare gli ultimi interventi, con il grande piano decennale sulle infrastrutture (Build Back Better Act) da 1.200 miliardi e il piano per agevolare investimenti nell’industria dell’energia pulita da 370 miliardi (Inflaction Reduction Act); la Repubblica Cinese intervenendo direttamente in considerazione del fatto che il sistema produttivo è sostanzialmente proprietà dello stato.

A fronte degli interventi previsti da Stati Uniti e Cina le regole, le deroghe, il dibattito sugli aiuti di stato della UE sono temi da affrontare con urgenza, rapidità e concretezza perché ne va della collocazione futura dell’Europa tra i protagonisti o tra gli spettatori del mondo di domani, ma per il quale bisogna essere pronti già oggi.

In merito agli Aiuti di Stato tutto quanto ha, nei decenni trascorsi, costituito oggetto di dibattito e di scontro e andrebbe consegnato alla storia, facendo tesoro delle esperienze maturate che possono guidare nelle necessarie, coraggiose, ma oculate, scelte future.

In questi ultimi mesi gran parte del dibattito economico si è concentrato sul PNRR, ma serve una forte attenzione sulla Riforma degli Aiuti di Stato annunciata dal Commissario Gentiloni in funzione della possibile nascita di un fondo sovrano europeo che funga da contraltare al pacchetto di tutela economica promossa dagli Stati Uniti. L’attuale impostazione del controllo degli Aiuti di Stato in un nuovo contesto post pandemia, e in piena crisi del modello globalizzato delle produzioni, è funzionale ad una nuova politica industriale degli Stati membri a livello europeo?

È evidente, come dimostra la crescente attenzione e il livello della discussione su un tema considerato esclusivamente “tecnico” fino a pochi mesi fa, che il cambio totale e forse definitivo della geo politica economica mondiale ha fatto emergere tutti i limiti della regolamentazione sugli Aiuti di Stato: un sistema che si concretizza in un obsoleto strumento di controllo della concorrenza tra Stati membri, quando invece è sempre più urgente una cornice flessibile di regole e set di strumenti efficaci per rendere competitivo l’intero sistema industriale europeo.

La sfida dei prossimi 10 anni è di ancorare tutti i Paesi, a cominciare da quelli con ridotti margini di manovra nei bilanci pubblici, ad una strutturale e coesa strategia di sviluppo industriale europeo, dove il modello degli Aiuti di Stato sia da circoscrivere alle doverose tutele da distorsioni pubbliche dell’economia, riprogettando strumenti di politica industriale europea in grado di selezionare i settori strategici da guidare verso una transizione economica realmente competitiva in ordine globale.

Le ultime esperienze come il Recovery Fund e il Just Transition Fund, insegnano che l’Unione è in grado di organizzare meccanismi e risorse comunitarie tempestive e funzionanti che non hanno causato distorsioni, ma che, anzi, hanno prodotto effetti positivi ed evitato crisi ancora più profonde. L’adozione di un fondo europeo per gli aiuti alle imprese sarebbe dunque non solo la soluzione più praticabile, ma anche quella più efficace e metterebbe a freno le spinte protezioniste di alcuni stati europei con maggiori margini fiscali.

Il modello che fin da subito si può utilizzare è la strategia promossa nella IPCEI Communication del 2014 per progetti di comune interesse europeo che possono rappresentare un contributo importante alla crescita economica. Attualmente lo strumento ha generato due importanti azioni di sviluppo industriale europeo: la rinascita della produzione europea di microchips e batterie e il potenziamento del sistema produttivo europeo.

Una chiara opportunità affinché si possa far partire un reale coordinamento strategico europeo per l’individuazione di una politica industriale europea, integrando definitivamente settori produttivi e mercati strategici per le grandi sfide globali.

Alcune proposte:

1. Appare inevitabile e necessaria la proroga del temporary framework per almeno altri 2 anni, delle sezioni relative al sostegno della crescita 3.6, 3.7, 3.8 e 3.13; in quest’ultima sezione, sarebbe importante un aumento dell’intensità di aiuto (oltre il 15%), con eliminazione del tetto massimo di 10 milioni di euro. Non si comprende, poi, la doppia condizionalità: un grande progetto di investimento industriale di filiera, dovrebbe essere facilitato, mantenendo almeno la stessa intensità, senza essere condizionato ad alcun CAP. 

2. Sul tetto del regime de minimis non è accettabile intavolare una discussione che parta da una proposta di un incremento a 270mila euro. Nel 2006 il tetto fu raddoppiato da 100 a 200mila. Si dovrebbe applicare almeno la stessa logica in questo aggiornamento; quindi, una base di partenza della discussione di 400mila euro, non difficile da giustificare prendendo in considerazione il valore medio annuo degli investimenti delle imprese sopra i 10 dipendenti. 

3. Sul regime degli Aiuti di Stato a Finalità Regionale sono limitanti e, in alcuni casi, distorsivi i limiti imposti al sostegno alle Grandi Imprese già operanti nel territorio, con particolare riferimento al concetto di diversificazione applicato alle “zone c”. Il criterio di diversificazione per le imprese e gli stabilimenti già esistenti, a nostro avviso, andrebbe eliminato oppure andrebbe attualizzata una definizione più congrua e meno restrittiva di “diversificazione delle attività” che rimandi non alla classificazione ATECO, ma ai concreti contenuti innovativi. Inoltre, a rendere ulteriormente problematico questo vincolo, in passato, vi è anche l’interpretazione nazionale, a nostro avviso discutibile, di “unità produttiva”. Infatti, secondo quanto emerge dalla circolare MiSE 59282 del 6 agosto 2015, si intende “una struttura produttiva, dotata di autonomia tecnica, organizzativa, gestionale e funzionale, eventualmente articolata su più immobili e/o impianti, anche fisicamente separati ma collegati funzionalmente”. Ciò vuol dire che secondo questa interpretazione restrittiva, in caso di un investimento di una Grande Impresa per una diversificazione, non solo ci deve essere un cambio di codice ATECO, ma anche che la nuova linea di produzione deve essere autonoma e fisicamente separata (di fatto un concetto estremamente simile a quello di un nuovo stabilimento). 

4. Sarebbe utile anche ragionare sulle intensità massime di aiuto nelle aree 107.3.c ad oggi ancora troppo penalizzate rispetto alle cosiddette aree “a”. Occorre aumentare la soglia d’intensità massima di almeno 10 punti percentuali, magari prevedendo fattori premiali rispetto ai ritorni occupazionali, la portata innovativa dei progetti di investimento e/o anche nei casi di ritorno di produzioni strategiche da territori extra-UE.
Infine, sarebbe utile pensare di equiparare un’area 107.3.C ad una 107.3.A, qualora la prima sia anche considerata Area di Crisi Complessa. 


5. Sempre collegato al tema delle misure per investimenti di grande intensità, andrebbe fatto uno sforzo anche in merito alla questione della delocalizzazione e della deindustrializzazione, individuando misure straordinarie per contrastarle.
Ad esempio, nel caso di acquisizione di una impresa manifatturiera, vittima di delocalizzazione, che cessa la produzione e viene messa in liquidazione con almeno 100 dipendenti, l’azienda subentrante, dovrebbe essere considerata in fase di startup come fosse una PMI, al fine di ottenere una intensità di aiuto superiore, magari come se l’azienda fosse in zona Obiettivo 1.
Inoltre, andrebbe favorito l’accesso a fondi per la riconversione, senza quindi attendere la pubblicazione di specifici bandi. 

6. Per quanto riguarda i Contratti di Sviluppo, oggi il limite per poter accedere è di 20 milioni di spese ammissibili che in molti casi risulta eccessivo e fa sfumare anche importanti possibilità di investimento soprattutto in zone di crisi. Si potrebbero prevedere due soluzioni alternative. La prima è quella di abbassare la soglia a 10 milioni; la seconda opzione potrebbe essere quella di prevedere un CdS di medie dimensioni sul modello (vincente) di next appennino con tagli da 1.5 a 10 e/o da 10 a 20.
Inoltre, si potrebbe pensare di prevedere una rimodulazione, anche in ampliamento, durante il periodo di realizzazione dello stesso. 

7. Altra proposta per rendere più accessibili e meno aleatorie le misure di sostegno è quella di eliminare sia i vincoli legati alla analisi controfattuale per gli investimenti green, sia l’obbligo di collaborazione tra Grandi imprese e PMI sugli investimenti in generale.

8. La L.181/89 potrebbe essere un valido strumento normativo per supportare investimenti di grandi dimensioni; va detto, però, che lo strumento ha evidentemente una serie di criticità che rendono complicato la fruizione per le imprese.
Un’idea potrebbe essere rivedere i destinatari dello strumento prevedendo, invece dell’ubicazione in area di crisi complessa, altri requisiti di accesso come, ad esempio, l’appartenenza ad una determinata filiera (definita ad es. per codice ATECO).

9. In merito ai grandi progetti di investimento industriali di filiera, andrebbero superate le condizionalità (territoriali e dimensionali) oltre una certa soglia (i.e. > 50/100 milioni di euro).

Infatti, lo speech della Presidente Von Der Leyen e la norma di cui all’art. 107, paragrafo 3, lettera c, TFUE, prevede che “gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di determinate attività economiche o di determinate aree economiche, qualora non incidano negativamente sulle condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse”, possono essere considerati compatibili con il mercato interno.

Per tali iniziative dovrebbe essere analizzato un regime di aiuto specifico (se oggetto al regime State AID) o, in alternativa, una regola comunitaria (i.e. PPP) gestita direttamente dalla Commissione fuori dal contesto degli Aiuti di Stato, con condivisione d’intenti e di vedute, sia nel merito che nelle disponibilità di risorse del Mimit.
 

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Stefano Micalone




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