«L’Expo è un business. Un’occasione unica e imperdibile: le imprese siano protagoniste».
Lamberto Mancini, manager con una lunga esperienza nell’entertainment, nell’audiovisivo e nel turismo, da Lingotto Fiere al Touring Club, da Cinecittà all’Anica, oggi è il direttore generale della Fondazione Roma Expo 2030, il «braccio privato» che affianca il Comitato promotore nel supporto alla candidatura della Capitale.
«Non esiste un altro grande evento di caratura mondiale come l’Expo, capace di trasformare il territorio non solo dal punto di vista delle infrastrutture e dell’accoglienza, ma anche sotto il profilo del tessuto produttivo e della proiezione del territorio, al proprio interno e verso l'esterno».
L’Italia è in piena campagna elettorale, in vista del verdetto del Bureau International des Expositions che arriverà a novembre. Il 17 aprile saranno a Roma gli ispettori del Bie. Che ruolo svolge la Fondazione?
«La Fondazione è nata a luglio 2022 per volontà delle sette associazioni datoriali che rappresentano la capillarità del tessuto produttivo: Unindustria, Cna Roma, Coldiretti Roma, Confcommercio Roma, Federlazio, Ance Roma-Acer e Confesercenti. Sono tanti i binari su cui lavoriamo. Il primo è l’attrattività dell’Italia e di Roma. Cito come esempio la Bit di Milano, con 25 Paesi ospitati e un padiglione Expo che ha perseguito visibilità e consensi. Il secondo binario è rappresentato da operazioni più mirate. Sono appena stato all’inaugurazione del master in Public procurement dell’Università di Tor Vergata in cui la Fondazione Expo Roma 2030 ha assicurato una borsa di studio a una studentessa del Suriname. Il terzo filone riguarda le attività per sensibilizzare le imprese del territorio».
Ci state riuscendo?
«Vogliamo presentarci alla visita ispettiva con una Fondazione arricchita di alcune aziende iconiche. Come Ferrovie dello Stato, Aeroporti di Roma, Ita Airways, Almaviva e altri grandi gruppi “champion” nei settori del credito, dell’informatica, della consulenza, dello sport, dell’energia e delle utilities. Molte stanno già aiutando concretamente noi e il Comitato promotore in questo percorso. L’interesse è alto. La visita a fine gennaio del segretario generale del Bureau, Dimitri Kerkentzes, è stata cruciale. Molte realtà hanno compreso come l’Expo Universale sia una piattaforma che per anni genera contatti e interessi tra aziende che operano qui e fuori».
Roma è pronta?
«Assolutamente sì. Oltre all’eccezionale attrattività turistica, può crescere grazie a Expo nella connotazione industriale, business. Roma non deve cambiare Dna, deve integrarlo. Per questo un ulteriore binario su cui si muove la Fondazione è il coinvolgimento della città in senso lato con tutte le iniziative che possano portare a una maggior consapevolezza del valore di Expo».
La rivale più agguerrita è Riyad, in corsa con Roma assieme a Busan e a Odessa. Possiamo competere?
«Abbiamo la forza del nostro progetto. Poiché gli Expo vengono assegnati sette anni prima, normalmente gli ispettori visitano terreni abbandonati nel nulla. Nel nostro caso, invece, si arriva a Tor Vergata e si trova l’eredità di Calatrava, l’università, l’ospedale, i centri di ricerca. Si toccano con mano i temi del nostro Expo - rigenerazione, inclusione e innovazione - assieme alla legacy su quel sito».
L’Ue ha annunciato l’appoggio alla candidatura di Roma…
«È una notizia di grande rilevanza. Riportare Expo in Europa è importante. Tutte le istituzioni locali e nazionali stanno lavorando in sinergia per un risultato che sarebbe storico per il Paese. Le nostre chance sono in crescita. Spero di festeggiare a novembre, con tutta Italia, insieme al Comitato e al presidente della Fondazione Massimo Scaccabarozzi. L’Expo vale per l’Italia 50,6 miliardi di euro, la nascita di 11mila aziende e la creazione di quasi 300mila posti di lavoro. Questa è la sfida, e l’opportunità, che abbiamo davanti».
L'intervista completa, a cura di Manuela Perrone, è disponibile in allegato.