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Articolo - 19/02/2024

Economia del mare, la crisi del Mar Rosso pesa su ritardi e costi

Su La Repubblica le testimonianze delle imprese associate a Unindustria

 

Nel complesso portuale laziale (Civitavecchia-Gaeta-Fiumicino) è in corso un epocale upgrading: «Nel 2023 sono partiti investimenti per 260 milioni, tutte opere già cantierate, di cui 220 derivanti dal Pnrr e dai fondi integrativi, e 40 da altre riserve speciali come il programma green ports», afferma con orgoglio Pino Musolino, lunga esperienza nello shipping e nella gestione logistica, dal 2020 presidente dell’Autorità di sistema portuale del Tirreno centro settentrionale, che gestisce appunto i tre porti. Gli scali sono oggetto di potenziamento delle strutture ricettive, dragaggi per ampliare il bacino, miglioramento della logistica di terra “retrostante”.

 

L’economia del mare diventa, anche nei piani di Unindustria, un punto di forza dello sviluppo regionale. Per Civitavecchia in particolare la sfida è conquistare una posizione dominante anche nelle merci dopo i successi ottenuti nelle crociere: per i passeggeri si sono superati i livelli pre-Covid e la città laziale è il secondo scalo europeo dopo Barcellona, «ma potremmo diventare entro pochi anni il primo», dice Musolino.

 

Senonché, all’inizio di quest’anno è arrivata una doccia fredda, che rischia di diventare gelata: il traffico globale delle merci è sconvolto dalla crisi del Mar Rosso, causata dagli attacchi dei guerriglieri Houthi dello Yemen contro le navi in transito verso il Canale di Suez, dove il traffico è già diminuito del 60%.

 

«Sempre più portacointainer e petroliere scelgono di circumnavigare l’Africa piuttosto che mettere a repentaglio il carico e soprattutto la vita del personale imbarcato», conferma Giorgio Beretti, specialty director del broker assicurativo specializzato Marine Howden. «Le quotazioni dei costi delle assicurazioni per avventurarsi nel Mar Rosso sono lievitate fino a sei-sette volte, e anche questo, malgrado i maggiori tempi e costi, induce le compagnie di spedizione a scegliere la strada più lunga ma più sicura».

 

L’Italia è penalizzata dalla geografia: «È il primo “molo” che incontrano le navi provenienti da Oriente all’ingresso nel Mediterraneo», commenta Francesco Isola, managing director della RifLine, azienda di logistica con 65 dipendenti nella sede centrale di Fiumicino e altrettanti negli uffici di spedizione in Cina, Giappone, Turchia e altri Paesi. «Il Lazio, e la costa tirrenica in generale, è al centro dell’attenzione perché le grandi portacontainer non si addentrano di regola nell’Adriatico ma proseguono lungo la costa occidentale dell’Italia, passando dallo stretto di Messina e raggiungendo Gioia Tauro, Civitavecchia, La Spezia, Genova». La crisi di Suez ha già comportato la moltiplicazione per quattro dei noli da 1500 a 6000 dollari per container (il “biglietto” per il trasporto via mare), e i primi ritardi a catena nelle forniture: «Le navi che scelgono la rotta del Capo di Buona Speranza allungano di 10-15 giorni il viaggio che così diventa di 62 giorni fra Shanghai e Civitavecchia, senza contare i sovraccosti che derivano alle compagnie di shipping dal fatto di dover impegnare più navi per soddisfare la domanda», puntualizza Isola. «Le conseguenze su tempi di consegna e prezzi finali saranno inevitabili». Un altro problema è che a quel punto le portacontainer che facevano scalo nel Tirreno, con Civitavecchia come uno dei punti nodali, ora potrebbero non entrare più, almeno in diversi casi, nello stretto di Gibilterra bensì puntare direttamente sulla destinazione finale nel nord Europa, approdando a Rotterdam, Le Havre, Amburgo.

 

«I danni per l’economia laziale ed italiana sono esponenziali perché perderemmo parte della logistica a terra e il trasporto finale via camion o treno verso le destinazioni del nord», spiega Raffaele Sempieri, capo delle vendite presso un altro grande spedizioniere, la Lesam International con sede centrale a Dragona alle porte di Roma. «Già ora riscontriamo una perdita del 20% nel business, ma potrà andare peggio. La verifica è imminente: in Cina, passate le festività del Capodanno stanno riaprendo le fabbriche (il termine ultimo è il 26 febbraio, ndr) e le spedizioni torneranno a pieno regime». Allora ci sarà la resa dei conti. Un motivo in più per sperare che le tensioni in Medio Oriente si allentino.

 

In allegato l'articolo completo a cura di Eugenio Occorsio per La Repubblica

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