Per le operazoni oggettivamente non imponibili Iva, come i servizi internazionali, non è rinvenibile alcuna imposta "teorica" assolta da un soggetto diverso dal debitore originario. Pertanto, tali operazioni non rilevano nel computo della soglia del 10% relativa ai versamenti registrati nel conto fiscale, ai fini dl rilascio del Documento Unico di Regolarità Fiscale (DURF).
Come noto, con l'obiettivo di contrastare l'omesso o insufficiente versamento delle ritenute fiscali, in particolare sui redditi di lavoro dipendente e assimilati e dei contributi previdenziali e assistenziali, il D.Lgs.241/97, all'art.17-bis, pone specifici adempimenti a carico di committenti, appaltatori, affidatari e altri soggetti che abbiano rapporti negoziali comunque denominati, rispetto alla certificazione da richiedere ai prestatori. Secondo il comma 1 dell'art.17-bis Il committente che affida a un’impresa il compimento di una o più opere o servizi, tramite contratti di appalto, subappalto o rapporti analoghi, per un importo annuo complessivo superiore a 200.000 euro, è soggetto a specifici obblighi quando l’attività comporta un prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi del committente e con beni strumentali di sua proprietà (o a lui riconducibili).
In questi casi, il committente è tenuto a richiedere all’impresa appaltatrice e alle eventuali subappaltatrici copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute fiscali trattenute ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio.
Esclusioni dall’obbligo
Tale obbligo non si applica se l’impresa trasmette al committente una certificazione che dimostri il possesso dei requisiti previsti dal comma 5 dell’art. 17-bis.
Tra questi requisiti rientra, ad esempio, l’aver effettuato, nel corso dei periodi d’imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, versamenti complessivi (registrati nel conto fiscale) pari ad almeno il 10% dei ricavi o compensi dichiarati nello stesso periodo.
Nela precedente Risoluzione n.53/2020, l'Agenzia aveva precisato che invece, ai fini del calcolo della soglia del 10%, occorreva computare anche l’IVA teorica riferita a:
In entrambi i casi, infatti, il versamento dell’imposta è effettuato dal committente o cessionario (es. ente pubblico), non dall’impresa esecutrice, per motivi antifrode.
Oltre a ciò, nel calcolo rientrano anche:
Inclusione dell’imposta teorica: ulteriori chiarimenti
L’Agenzia delle Entrate, in una risposta a interpello, ha chiarito che:
Esclusioni dal calcolo del 10%
Non devono invece essere incluse nel computo:
In questi casi non si configura un vero e proprio “versamento” d’imposta, nemmeno se effettuato da un soggetto diverso rispetto al debitore originario.
L'Agenzia delle Entrate, con Risposta a Interpello n.123, pubblicata il 29 aprile 2025, con riguardo a un'impresa specializzata in servizi di spedizioni e logistica per fiere ed eventi, tenuta a fornire il DURF per partecipare alle gare d'appalto, ha chiarito nuovamente che tali operazioni non rilevano nel calcolo del rapporto del 10%.
Questa presa di posizione è particolarmente importante in quanto molte aziende devono subire il problema di avere un DURF strutturalmente negativo. Segnatamente, il rilascio di DURF negativo può essere per tali aziende una diretta conseguenza del solo mancato rispetto del requisito individuato dall’art. 17-bis del D.Lgs.n. 241/1997, consistente nel pagamento di tributi, nel triennio precedente, per un ammontare non inferiore al 10% dell’ammontare dei ricavi dello stesso arco temporale.
Nel dettaglio, tale disposizione, ad oggi, non permette di computare nei tributi considerati al fine del calcolo del predetto 10% anche l’IVA che non viene addebitata ai propri clienti a norma dei riferiti artt. 7-ter ed 8 del d.P.R. n. 633/1972. Mentre, nel caso in cui, più correttamente, nell’ammontare delle imposte pagate si tenesse conto del tributo potenziale, tali aziende ben realizzerebbe il presupposto legale per l’ottenimento di un DURF positivo, sempre più essenziale per il regolare svolgimento dell’attività.
Non si comprende, in effetti, la ratio che ha indotto il legislatore – e, successivamente, l’AdE nella risoluzione n. 53/2020 – a considerare nella predetta percentuale del 10% il tributo relativo alle operazioni eseguite a norma dell’art. 17, comma 6, del decreto IVA (reverse charge) e quelle di cui all’art. 17-ter del medesimo decreto (split payment) e non anche il tributo potenziale relativo alle operazioni eseguite in applicazione delle disposizioni di cui all’art. 8 e all’art. 7-ter, posto che, anche nelle operazioni di cui agli artt. 17 e 17 ter, non risulta alcuna imposta da pagare effettivamente all’Erario, senza prevedere alcun correttivo ai fini dell'emissione del DURF.
Con operazioni quali quelle di cui agli artt. 8 e 7-ter del decreto IVA, la necessaria considerazione di tale imposta ben comporterebbe il superamento della soglia quantitativa stabilita dal legislatore e che dovrebbe, ragionevolmente, essere valutata dall’Ufficio, in sede di emissione del DURF.
Qualsiasi diversa interpretazione del quadro di riferimento, si ribadisce, finirebbe inopinatamente per penalizzare in modo iniquo e ingiustificato tutte le imprese che, emettono fatture in regime di non imponibilità a seguito della presentazione di lettere di intento da parte dei propri clienti ex art. 8, comma 1, lettera c) del decreto IVA, oppure che effettuano operazioni nei confronti di committenti non residenti, ex art. 7-ter, per le quali non addebitano il tributo.
Il risultato della particolare condizione in cui versano queste aziende caratterizzate da un ampio margine di operazioni oggettivamete non imponibilicome i servizi internazionali, fa sì che, pur sane e in regola con tutti gli adempimenti tributari, siano costrette a lavorare normalmente con un DURF perennemente negativo, con inefficienze ed aggravi burocratici ed amministrativi e danni all’operatività, reputazioni e margini di crescita.