Con una piattaforma produttiva tra le più articolate d’Europa e il secondo PIL regionale d’Italia, il Lazio è un motore industriale ancora poco narrato. Giuseppe Biazzo, presidente di Unindustria, analizza punti di forza, criticità e priorità per rendere la regione sempre più competitiva nei prossimi anni. L'intervista, a cura di Alessandro Caruso, oggi su "Il Riformista".
Quali sono i punti di forza industriali del Lazio che ancora non vengono valorizzati?
«Le nostre imprese si distinguono già a livello nazionale e globale sui mercati. È probabilmente la consapevolezza interna che deve migliorare perché il Lazio è una grande regione d'impresa che le consente di essere la seconda economia regionale del Paese. Con 239 miliardi di euro, infatti, il Lazio è la seconda regione italiana per PIL. Possiamo contare su una piattaforma industriale avanzata e diversificata, con una produzione farmaceutica tra le prime in Europa, una filiera aerospaziale composita e strategica, un ecosistema ICT di livello internazionale, la presenza dei principali player delle telecomunicazioni, dei tra-sporti, della logistica e dell'energia, un primato assoluto nell'audiovisivo ed eccellenze nei settori tipici del made in come la ceramica e l'agri-food. Lo sviluppo economico del Lazio si misura anche con la presenza di 142 gruppi multinazionali esteri che la rendono la seconda regione italiana per attrattività. Dobbiamo abituarci a valorizzare maggiormente il Lazio anche per questa concentrazione unica di manifattura, servizi avanzati, ricerca e tecnologia decisiva per la crescita di tutto il Paese».
L’Italia ha leadership industriali spesso sottovalutate: quali sono quelle più presenti in Unindustria?
«L’Italia eccelle in settori come farmaceutico, digitale, aerospazio, energia e circular economy, ma troppo spesso non lo raccontiamo né lo sosteniamo come meriterebbe. Nel Lazio queste eccellenze sono fortemente presenti nelle imprese associate a Unindustria, che uniscono grande industria e PMI innovative in filiere integrate che competono ogni giorno sui mercati globali».
Cosa significa davvero “politica industriale” per le imprese?
«Per le imprese la politica industriale è una burocrazia snella, tempi e sostegni certi, infrastrutture adeguate e formazione all’altezza della trasformazione tecnologica, ambientale e demografica. A livello nazionale serve continuità, visione e impegno particolare e significativo sulle filiere strategiche per l’autonomia nazionale ed europea (dalla difesa alla salute, dall’energia fino all’innovazione digitale e della manifattura) e un approccio che guardi al Centro Italia e ai suoi territori con pianificazioni e progetti adeguati in una logica di grande sistema produttivo integrato, non come una “terra di mezzo” tra lo stereotipo del “Nord produttivo” e del “Sud da rilanciare”».
Quanto pesano i settori strategici del Lazio sull’economia nazionale?
«Manifattura avanzata, digitale e logistica fanno del Lazio uno dei motori industriali del Paese con 243 miliardi nel 2024. È la seconda regione italiana per PIL e una piattaforma di export tecnologico che sostiene concretamente la crescita nazionale, grazie a competenze e filiere che qui hanno trovato un ecosistema unico».
Quanto incide lo skill shortage e cosa serve per contrastarlo?
«La mancanza di competenze è oggi uno dei principali fattori che frenano la competitività delle imprese. Servono percorsi tecnici più forti, ITS più ampi, re-skilling continuo per chi è già in azienda e per chi vuole e può re-impiegarsi in altri settori. Per questo serve una filiera formativa davvero collegata ai bisogni dell’industria e connessa fra tutte le sue componenti. Il mismatch nel Lazio corrisponde al 44%, vuol dire che ogni 100 assunzioni, 44 sono state di difficile reperimento. Senza capitale umano adeguato, nessuna transizione può avere successo».
Come stanno reagendo le imprese del Lazio alla transizione green?
«Le imprese stanno investendo con pragmatismo su efficienza energetica, rinnovabili e processi più sostenibili, perché la sostenibilità è ormai parte della competitività. La sfida è rendere questa trasformazione accessibile anche alle PMI, con regole stabili, autorizzazioni rapide e infrastrutture energetiche adeguate».
Quali saranno le principali sfide dell’export nel 2026?
«L’export cresce, ma è ancora troppo concentrato su un numero ristretto di settori. La sfida è accompagnare le nostre imprese, soprattutto le PMI, in un contesto globale instabile. Il Lazio è sempre più un hub europeo dell’export tecnologico, ma servono politiche industriali mirate e soprattutto percorsi di crescita strutturati delle imprese: solo le imprese più solide possono sostenere la crescente competitività internazionale, soprattutto in settori che non sono esplicitamente collegati al brand made in Italy. In questa fase, poi, dove un mercato così “collaudato” presenta delle criticità, trovare sbocchi in altri mercati meno noti richiede maggiori capacità dell’impresa e del sistema Paese nella cosiddetta diplomazia economica».
Qual è l’obiettivo di Unindustria per i prossimi tre anni?
«L’obiettivo di Unindustria è sempre lo stesso: rendere il Lazio una regione sempre più competitiva e con un’agenda chiara e ambiziosa di crescita. Il Lazio ha tutte le carte per imporsi ancora di più come una delle principali regioni europee dell’impresa e dell’innovazione. Stiamo lavorando e continueremo a lavorare per rendere le imprese e le filiere più solide, più innovative, con lavoratori sempre più preparati a vincere le sfide della competitività in un contesto territoriale che deve poter contare su una pubblica amministrazione in grado di investire sulla qualità, che comprenda sempre più i temi e i tempi dell’attrattività e che faccia fare un salto di qualità al sistema delle infrastrutture e della logistica».